Storia della Costruzione

La chiesa parrocchiale dei Ss. Bartolomeo e Gaudenzio

 

«A Borgolavezzaro, linea Novara-Mortara, fece compiere, tra gli anni 1858-1862, la chiesa parrocchiale […] Questa costruzione segna un nuovo passo dell’Antonelli nella sua maestria di sapere coprire a volta i grandi spazii con una esiguità di mezzi che prima di lui si sarebbe creduta impossibile».

 (C. Caselli, Necrologio per Alessandro Antonelli)

 

Una chiesa per la comunità, una comunità per una chiesa.

Per comprendere la genesi dell’odierna chiesa parrocchiale di Borgolavezzaro, è necessario fare un salto indietro nel tempo di diversi secoli. Il paese nasce come borgo franco nel 1255 per volontà del Podestà di Novara Peracha Lavezarius.

La costruzione della nuova chiesa intitolata a San Gaudenzio, documentata negli Statuti novaresi del 1289, risulta “pubblico sumptu”, cioè per iniziativa del Comune, originando una tradizione che permarrà anche nei confronti della costruzione antonelliana e che dura tutt’oggi.

A questa prima, parzialmente danneggiata dalle truppe francesi, ne segue un’altra edificata nel 1565 sul sedime della precedente, in centro al paese. Alla fine del XVIII secolo anche la seconda chiesa di San Gaudenzio è ormai fatiscente e le sue dimensioni risultano troppo ridotte per un popolazione in continuo aumento.

Nel 1800 viene demolita l’antichissima chiesa parrocchiale di Borgolavezzaro, quella di San Bartolomeo, e il titolo viene aggiunto alla chiesa che risulta cosi essere intitolata ai S.S Bartolomeo e Gaudenzio.

Nel 1828 diviene parroco Giovanni Pietro Jacchetti. Appena giunto a Borgolavezzaro coglie il problema ed innesca un processo che porterà alla costruzione del tempio antonelliano. La prima idea è quella di restaurare ed ampliare la chiesa cinquecentesca.

Una montagna di mattoni

Don Jacchetti comincia a riunire le principali cariche cittadine per organizzare i lavori più urgenti di riparazione della chiesa. Anche la popolazione, sensibilizzata al problema, si entusiasma all’idea e si mette a produrre in località detta “Fornaci”, ad est dell’abitato, una grande quantità di mattoni. In questa vicenda risalta il generoso impegno della comunità e l’originale metodo di trasporto dei mattoni dalla fornace: nelle ore libere da lavori e nei giorni festivi, un’interminabile fila di cittadini, gratuitamente, si passa i manufatti di mano in mano fino al centro del paese e li deposita nella piazza.

Sembra tutto imminente per l’avvio dei lavori ma nel 1834 l’Intendenza di Novara sospende ogni attività per questioni finanziarie. Passano gli anni e nel 1837 i mattoni, ancora depositati in piazza, vengono messi all’asta per reperire fondi da destinare al restauro.  Al ricavato della vendita si aggiungono le 4.000 lire del lascito testamentario della nobildonna Francesca Tornielli.

Meglio una chiesa nuova

Valutato alfine come eccessivo lo sforzo necessario per il recupero del fatiscente edificio, il Comune, d’intesa con Fabbriceria e Parrocchia, risolve di costruirne uno nuovo affidando l’incarico della progettazione all’Architetto Alessandro Antonelli, che nel 1846 elabora un primo studio prendendo come riferimento la chiesa di Oleggio. Per reperire gli altri fondi necessari, il Comune istituisce una sovrattassa sui terreni.

Tuttavia il primo progetto presentato dall’Antonelli presenta un edificio ‘troppo degno’, per cui nel 1855 il Comune chiede all’Architetto un progetto più ridotto che non occupi la proprietà a nord e non restringa troppo la “contrada dell’abitato che mette alla stazione”, l’attuale Via IV Novembre. Nel contempo, per far spazio al futuro edificio, viene decisa la demolizione della vecchia chiesa, abbattuta poi nell’inverno seguente.

Il problema della torre campanaria.

L’Intendenza tuttavia blocca il secondo progetto antonelliano per due motivazioni: perché viene superata la somma di lire 100.000 – limite massimo di spesa consentito ai Comuni di terza classe – e per alcune criticità riscontrate.

Antonelli infatti nei suoi progetti avanza delle proposte ardite che, secondo le pubbliche autorità, potrebbero creare futuri problemi statici: il taglio di due muri portanti del secentesco campanile sostituiti da tre colonne in granito e la realizzazione dell’ampia vetrata in facciata ne sono gli esempi più lampanti.

Antonelli, in una lettera del 25 luglio 1856, confuta pacatamente le accuse ma in definitiva si sottomette alla volontà dell’Intendenza generale ed elabora un nuovo progetto. Queste le sue parole:

«Ill.mo Signor Sindaco, ho l’onore di significarle che allo scopo di ottemperare al voto del Congresso Permanente e procedere sollecitamente avanti nella pratica della ricostruzione di codesta chiesa parrocchiale, ho mutato la forma del Presbiterio avanzando di un intercolumnio li altari che fiancheggiano il maggiore per evitare il traforo dei due lati del campanile, quantunque lo spessore della parte di muro che verrebbe a gravitare sulla colonna angolare di granito sia dello spessore di 0,90 eccedente il diametro superiore della colonna di soli cinque centimetri e non di quarantacinque come risulterebbe nello stesso voto e si abbiano d’altronde parecchi esempi di altissime torri campanarie e di angoli di edifici colossali sorretti da una sola colonna come sarebbero il palazzo Ducale di Venezia ed il palazzo municipale di Brusselles in cui la parte sorretta è sestupla del sostegno angolare mentre nel caso nostro non riuscirebbe che tripla.»

L’impresa esecutrice

Nel 1857 viene approvato dal Comune il nuovo progetto. Si rende però necessario partire al più presto con i lavori, essendo il paese già da più di un anno senza chiesa.

L’Amministrazione Comunale indice pertanto il 19 aprile 1858 una gara d’appalto per trovare l’impresa che esegua i lavori. La gara va tuttavia deserta. L’opera è grandiosa per l’epoca e si deve trovare una ditta solida e attrezzata che sappia far fronte ad un progetto ardito e a capitolati impegnativi e complessi. Il giorno successivo viene pubblicato il “secondo incanto”. Si aggiudica i lavori l’impresa Francesco Ghezzi. Il Comune, per seguire da vicino tutti i lavori, nomina come proprio Assistente particolare al cantiere Carlo Stelio. Nell’atto di collaudo datato 16 maggio 1865 è registrato il plauso di Antonelli ai bravi collaboratori che ha incontrato nella realizzazione della chiesa di Borgo:

 

«…in omaggio alla pura verità intendo dare lode all’appaltatore Francesco Ghezzi, all’Assistente Carlo Stelio…».

Con il 1862 hanno ufficialmente termine i lavori. La vigilia di Natale dello stesso anno la chiesa viene aperta al culto. Ad eccezione dell’altar maggiore – viene riutilizzato quello del 1754 – e della balaustra della chiesa precedente, mancano tutti gli arredi.

Un ‘chiesone’ neoclassico

La facciata è caratterizzata da un pronao con quattro grosse colonne di granito. Nella vetrata semicircolare si riscontra una modifica rispetto al progetto antonelliano: la parte centrale è stata chiusa in corrispondenza dell’organo, posto all’interno della chiesa in un secondo tempo. Il portale principale è sovrastato da un affresco raffigurante il martirio di san Bartolomeo. Nel timpano è inserito un busto di Dio Padre ai cui lati emergono in rilievo le figure di due angeli. Questi ed altri elementi, come paraste e semicolonne che intervallano lo spazio scandendo la griglia antonelliana, denotano i riferimenti classici dell’opera.

L’interno si presenta ad unica navata coperta da un’ampia volta a botte di 13 m di diametro con un’altezza dal piano di calpestio di 18 m e una lunghezza di 40 m, che costituisce l’elemento architettonico più interessante dal punto di vista statico.

Alla teoria di colonne interne – con la base di 95 cm di diametro e un’altezza di 9 m – ribatte sui muri perimetrali una successione di paraste che sorregge i tetti laterali e contribuisce a contenere la spinta orizzontale della volta, contrastata anche dai 7 tiranti in acciaio imposti all’Antonelli dal Genio Civile per motivi di sicurezza.

 

All’ingresso nella chiesa l’occhio è rapito tuttavia dall’imponente arco trionfale che sovrasta il presbiterio, con i cinque grandi medaglioni raffiguranti Cristo e gli evangelisti. Interessante anche la soluzione del coro coperto anch’esso da una volta ellittica.

 Opera ‘minore’?

Certamente la chiesa parrocchiale di Borgolavezzaro risulta un enorme fuori scala nel contesto del piccolo paesino e della campagna circostante. Ma come si colloca nel contesto delle opere antonelliane?

Citando il professor Luciano Re, si può forse affermare che “per Antonelli l’andare col suo indomito ingegno accarezzando e svolgendo nuovi e ardimentosi ideali non abbia finito per soppiantare l’attenzione alle occasioni anche modeste dell’architettura, non potendosi stabilire una graduatoria tra opere maggiori e opere minori in base alle loro dimensioni fisiche, in quanto tutte partecipano della stessa grandezza d’intenti, forza innovativa, volontà didascalica”.

Anche la chiesa dei Ss. Bartolomeo e Gaudenzio quindi esprime il genio dell’architetto novarese il quale, non lasciandosi frenare dalla perifericità dell’intervento, ha saputo realizzare un tempio degno della sua fama.

Bibliografia

  • Crescentino Caselli, Necrologio per Alessandro Antonelli in «L’ingegneria Civile e le Arti industriali», Torino, ottobre 1889, pp.1-7.
  • Bruno Radice Le origini di Borgolavezzaro, Burchvif, Borgolavezzaro, 1987.
  • Alessandro Antonelli nel suo territorio. Un itinerario in Piemonte. 24 settembre – 18 ottobre 1988 Maggiora
  • Luciano Re, I “lavori e progetti diversi” di Alessandro Antonelli nell’area novarese in Alessandro Antonelli nel suo territorio, Cressa, Arti Grafiche 4 & Uno, 1988, pp. 11-19
  • Ezio Bogogna, Cenni storici sulla Chiesa dei Santi Bartolomeo e Gaudenzio in Borgolavezzaro in Alessandro Antonelli nel suo territorio, Cressa, Arti Grafiche 4 & Uno, 1988, pp. 57-58
  • Chiesa parrocchiale dei Santi Bartolomeo e Gaudenzio in Itinerari d’arte nel novarese. Alla scoperta del neoclassico attraverso le opere di Alessandro Antonelli, ATL Novara, 2008, pp. 35-36
  • Una chiesa per la comunità e una comunità per una chiesa. Borgolavezzaro 1862-2012. Fede, storia e architettura nella Chiesa di Alessandro Antonelli nel 150° della costruzione, Litonord, Parona, 2012

A cura di Arch. Flavia Radice