“Ascension” documentario sconvolgente sul sogno cinese contemporaneo

Pubblicato giorno 8 aprile 2022 - Formazione, oratorio OSG

«Per me questo è un film sull’iper-capitalismo e sulle conseguenti drammatiche e crescenti diseguaglianze sociali ». Lijia Zhang è una nota scrittrice e giornalista cinese, autrice per riviste occidentali, che da quattro anni vive a Londra per sfuggire alla censura. Cinquantasettenne, nata sotto il regime di Mao, a 16 anni poiché non c’erano soldi per studiare venne spedita dalla madre a lavorare come operaia in una fabbrica di missili a Nachino. Ora che è una autrice affermata, Lijia è al “Pordenone Docs Fest – Le voci del documentario” giunto alla sua quindicesima edizione per presentare il documentario Ascension della regista sino americana Jessica Kingdon, vincitore come Miglior documentario al Tribeca Film Festival di New York e candidato nella cinquina degli ultimi Oscar. Un documentario sconvolgente sul sogno cinese contemporaneo, tra contraddizioni politiche ed eccessi consumistici, che ha aperto ieri il festival del documentario organizzato a Pordenone da Cinemazero. Il quale sino al 10 aprile proporrà il meglio del cinema del reale, con anteprime nazionali, documentari premiatissimi ed ospiti con una particolare attenzione ai conflitti e contrasti che dividono il mondo dall’Ucraina alla Russia, dalla Cina ad Hong Kong, dall’Africa all’Italia del colonialismo taciuto. Non a caso è stato assegnato ieri il premio “Images of courage 2022” alla 30enne regista ucraina Alina Gorlova, che doveva essere in giuria a Pordenone ma che ha preferito restare nella sua Kiev per sostenere la lotta per la libertà. Una libertà condizionata da un sistema de-umanizzato nel nome della produttività a tutti i costi in un Paese come la Cina. Gli occhi della scrittrice Lijia Zhang sono come quelli delle operaie che alla catena di montaggio all’inizio del film sistemano ali di pollo, e producono a mano in serie una quantità incredibili di oggetti che noi usiamo ogni giorno: tappi per profumi, ricami, biciclette, jeans, stoffe, bottigliette di plastica e chi più ne ha più ne metta. Uno sguardo dal taglio colorato e poetico abbinato ad una osservazione realistica quelli della Kingdon che ci mostra i retroscena della fabbrica del mondo facendoci vedere i volti dei lavoratori e toccare con mano quanto anche noi occidentali siamo interdipendenti con l’industria cinese. Con tutte le sue contraddizioni. Un Paese che conta su una immensa manodopera, reclutata con megafoni per strada proponendo vitto, alloggio e un salario medio di 2,60 dollari l’ora. «Le loro condizioni nelle fabbriche sono pessime, la sicurezza sul lavoro non esiste e il divario sociale aumenta. E’ paradossale se pensiamo che si tratta di una Repubblica socialista» sottolinea la scrittrice commentando la scena in cui una operaia in una fabbrica di sex dolls incolla pezzi di gomma con un saldatore incandescente senza guanti e occhiali protettivi.

Efficienza e crescita sono l’ossessivo fil rouge del documentario che ci mostra il punto di vista e la vita di vari strati sociali ripresi in 50 location in tutta la Cina. Si parte dalle masse di operai e dalle profondità delle miniere, dall’enorme produzione di oggetti e dal suo devastante impatto ambientale, per passare ai giovani della classe media che si lanciano nella new economy del web. «Siamo nella fan economy era» declama una docente ai suoi promettenti youtuber, pronti a vendere dai cosmetici alle scarpe da ginnastica via internet col sogno di diventare in breve milionari. Mentre un gruppo di agguerriti venditori marcia in mimetica in un “business education camp” a Shanghai si insegna alle venditrici come incantare col sorriso perfetto il cliente. E poi c’è l’industria del divertimento di massa che ci porta in un mondo onorico e surreale fra folle di cinesi immerse fra le acque e i giochi di luce delle incredibili installazioni del Paradise Ocean Park. Il moderno Paradiso sembra essere quello del Dio denaro, come commentano disincantati ed edonisti alcuni giovani della classe dirigente cinese mentre imparano il bon ton occidentale a tavola.

«Il problema è che c’è una enorme massa di poveri, sempre crescente, che viene esclusa dalla società consumistica che contribuisce a creare» aggiunge la scrittrice. Che concorda con l’idea della regista: fare conoscere all’Occidente dal suo interno una realtà da cui non possiamo prescindere e che è necessario conoscere per decifrare le complesse e crisi attuali. (Agorà di Avvenire del 7.4.22)